Prefazione di Lia Bronzi

Alfredo Lucifero pone ad exergo del testo Correre correre la sua ben nota lirica “Correre”, caratterizzata da potenza icastica nella prima parte, per declinare nella chiusa con versi di raffinata ironia che recitano: “…Non sapendo chi sono / nè cosa faccio / correndo per riposare.”, nei quali il poeta heghelianamente si pone di fronte al “non-io”, con una cadenza figurativa del verso che ben esprime l’impostazione stessa del romanzo che introduce.

La domanda, senza risposta, di Montale “Il varco è qui” sembra essere l’anello che non tiene e la nota meditativa e sofferta della letteratura: poesia e narrativa, di Alfredo Lucifero, il quale nei momenti in cui predomina il disincanto, la sfiducia, mentre una diffusa mestizia naturale si insinua nell’anima, si interroga sul senso della vita e sul tempo che fugge, secondo un’indagine metodica ed insistita ed una fusione sintattico-psicologica-tonale, volta a cercare una soluzione al tema edenico e focale, della sua pur vasta ispirazione letteraria.

Così è, in questo nuovo romanzo Correre correre, dove il protagonista Gianni cerca di fermare un insieme di momenti talora lirici, altre volte dolorosi, incardinati nella sua vita per complesse variabili: esistenziali, socio-economiche, amorose e familiari, che si stemperano in una forma che di un disincanto, ormai oggettivato, hanno tutto il sapore e l’afrore, fino a sottendere una dimensione di ricerca escatologica del divino

1°capitolo: La Guerra

Gran parte della famiglia si era riunita in una grande casa di campagna, i bambini erano felici di ciò, la guerra non importava tanto poteva essere un gioco dei grandi e il pericolo non lo conoscevano anche se Gianni era stato colpito duramente, negli affetti infatti il padre, persona buona e gentile, che nel lavoro aveva creato a Firenze la mostra dell’artigianato di cui era segretario generale, era stato ucciso in guerra. Aveva voluto andare a combattere pur avendo una moglie e tre figli e un soffio al cuore che gli avrebbe consentito di rimanere a casa nel bel villino al Viale dei Colli dove abitava a seguitare la sua opera e invece dovè partire e andare a fare il capitano di artiglieria da montagna, un mestiere che non conosceva e per il quale, fra l’altro, non era assolutamente tagliato. Bene, partì il giorno di Natale e fece un ultimo pasto di festa con la moglie e il fratello, ma durante il pasto avvenne un sintomo diabolico e mortale: un alberno di Natale che la moglie premurosa e addolorata aveva preparato e messo sul tavolo da pranzo prese improvvisamente fuoco per cui fu necessario spegnerlo. Il padre quindi partì, mandato sul fronte greco-albanese per un capriccio folle del capo del Governo di allora mancando alle forze armate qualsiasi organizzazione di tipo militare ma solo uomini da mandare allo sbaraglio con i loro pensieri e sogni della vita.

La sua venne dopo poco spazzata via da una bomba di cannone che colpì la batteria che comandava ferendo prima alcuni suoi soldati che lui cercò di soccorrere e proteggere uscendo di corsa dal riparo di una trincea, purtroppo un ulteriore cannonata colpì di nuovo la sua posizione, una scheggia violenta e crudele lo colpì alla gola senza preavviso tagliandogli la testa e la vita con tutti i sogni e affetti, amore, speranza. Gianni era molto piccolo e stentò a capire la grande perdita subita, un padre non si rimpiazza mai, la sua mancanza peserà su tutta la vita creando un se stesso diverso da come sarebbe stato anche negli affetti.

Il Libro

 

Editore           Albatros il filo
Data uscita   2013